Gomitoli e rifiuti – Elogio della bruttezza
I miei pacchi sono brutti.

Se avete già fatto ordini dallo shop online, sapete che i miei prodotti vi arrivano imballati in sacchetti riutilizzati dalle consegne dei filati, imballati nelle scatole dei filati, opportunamente protette e chiuse con nastro adesivo. Nessuno fronzolo, nessuna velina, nessun pieghevole. Metto un bigliettino, a ringraziamento della fiducia accordata; quando disponibile aggiungo un mini gadget, possibilmente fatto a mano, come i marcapunti. All’inizio mi chiedevo se non fosse un brutto approccio – brutto pacco = brutto effetto – poi mi sono detta che, così come non dovremmo mai giudicare le persone dal loro aspetto o un libro dalla copertina, bisogna comunque aspettare di aprire il pacco prima di restare delusi. No?
Nei limiti del possibile, cerco di non buttare nulla e di riutilizzare tutto quel che si può. La definizione normativa di “rifiuto” così come data dal Testo Unico Ambientale, lo descrive come “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi” (art.183). In pratica un oggetto diventa un rifiuto quando decidi che non ti serve più. Ma davvero i materiali di imballaggio con cui ricevo i filati, una volta fatto il loro lavoro, non mi devono servono più? Al contrario, possono quasi sempre diventare nuovo imballo per una spedizione; se il sacchetto è sufficientemente in buono stato può contenere anche il maglione o lo scialle confezionato con il filato acquistato, per non prendere polvere nell’armadio. Le scatole di cartone, quando non le uso per spedire, le riciclo per altri usi, anche fuori dal negozio. Con il cartone ondulato dell’ultima consegna di Sesia ho fatto i mini telai per il corso di introduzione alla tessitura.
Risultato: consegno pochissimo cartone alla raccolta differenziata, spesso nulla per settimane, mentre il totale dell’indifferenziata prodotta in negozio non supera la media di un sacchetto ogni 15/20 giorni.

Questa estate si sta rivelando disastrosa per la nostra natura e il nostro clima: bruciano le foreste siberiane, si sciolgono i ghiacciai della Groenlandia, i mari sono pieni di plastica che soffoca gli animali. Qui a Faenza, a pochi chilometri dal negozio e da casa, brucia da stanotte un disastroso incendio che sta portando in giro per la città residui di combustione, fiocchi di lana di vetro bruciacchiati, fumo denso e scuro; nell’impianto fognario si stanno riversando olii alimentari che erano stoccati sul luogo dell’incendio e i composti schiumosi usati per contenere le fiamme. Il mondo è letteralmente sommerso dai nostri rifiuti, di “oggetti di cui ci vogliamo disfare” per utilizzare il linguaggio della legge.
Quindi sono contenta di poter dire che i miei pacchi sono brutti. Sono brutti ma (almeno un po’) buoni e ritardano il fine vita di materiali che inevitabilmente finirebbero in una discarica o in inceneritore. Sono convinta che le grandi rivoluzioni inizino dal molto piccolo e, nel mio molto piccolo, cerco di portare un contributo. Quindi, più pacchi brutti per tutti.
E buona estate consapevole.